Al centro il tema del salario minimo: esiste davvero un’alternativa o è solo la punta dell’iceberg?
L’articolo 36 della Costituzione sancisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro che svolge e in grado di garantire un’esistenza libera e dignitosa. L’ Italia non ha una regolamentazione che fissa un minimo retributivo legale, non esiste quindi una vera e propria legge che determini un valore fisso economico che il datore di lavoro debba osservare: tuttavia i minimi retributivi sono garantiti da un esteso e capillare sistema di contrattazione collettiva. Ad esclusione del settore agricolo e domestico di cui non si hanno informazioni precise, secondo il CNEL, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, a fine 2022, sono stati registrati circa 946 contratti collettivi nazionali, quindi 12,8 milioni di lavoratori dipendenti di aziende private coperti da contratti collettivi, per una incidenza sul totale degli occupati attorno al 96,5%, identificando l’Italia come un paese con un alto tasso di copertura contrattuale.
Nonostante l’alto numero di contratti registrati, la maggior parte dei lavoratori aderisce a una tipologia contrattuale ristretta: più di 12 milioni, ovvero il 97,1% dei lavoratori che rientrano nelle numeriche del CNEL, sono coperti da contratti sottoscritti da categorie associate a Cgil, Cisl e Uil e la soglia minima retributiva, per la maggioranza dei contratti più rappresentativi, si aggira attorno ai 9 euro.
Secondo una ricerca svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del lavoro, che ha preso in esame 63 contratti tra i più rappresentativi, circa 39 contratti presentano minimi superiori ai 9 euro, circa il 47,8%, 22 invece – il 18,2%- sono al di sotto di questa soglia, oscillando tra 8 e 8,9 euro e infine, solo l’1% ha un contratto con un salario inferiore agli 8 euro. Tali disuguaglianze retributive annuali potrebbero derivare da diversi fattori, oltre che dalla natura stessa della posizione lavorativa: retribuzione oraria, intensità mensile dell’occupazione, numero di ore lavorabili e altri ancora. Pertanto, stando a queste numeriche, l’introduzione del salario minimo sarebbe da applicare solo all’1% dei lavoratori suddetti e sarebbe equivalente a poco più di 50 euro netti mensili, giovando al lavoratore stesso in maniera completamente lieve.
In tale contesto emerge dunque che il problema del salario minimo costituisce solo la punta dell’iceberg: secondo Luca Furfaro, esperto di lavoro e di welfare e titolare dell’omonimo studio, l’attenzione andrebbe spostata dal tema del salario minimo a quello della contrattazione collettiva, ovvero sui criteri definitori di rappresentatività del lavoro stesso. Tracciare un confine di legimittà con dei minimi non arginerebbe il problema, ma sarebbe solo una misura troppo semplicistica e limitativa. A questo occorre aggiungere poi, in ogni caso, quelli che sarebbero gli altri temi che rimarrebbero irrisolti per i quali si rimanda alla contrattazione collettiva come ad esempio gli straordinari, la previdenza complementare, il welfare e così via: è necessario dunque avere maggiore chiarezza per l’applicazione della contrattazione collettiva che si riferisce non solamente al tema del salario minimo, ma a una molteplicità di tematiche, fondamentali per la vita del lavoratore.
“Il problema in Italia è che abbiamo l’articolo 36 della Costituzione che ci dice che il lavoratore deve avere una retribuzione sufficiente e proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato ma non abbiamo un rimando diretto e certo a quale minimo applicare.” commenta Luca Furfaro (Foto in alto). “Noi abbiamo più di 900 contratti collettivi e non tutti sono rappresentativi, bisogna inoltre considerare anche il settore di cui si parla; più che mettere un tetto per tutti, una possibile chiave potrebbe essere quella di lavorare sulla contrattazione collettiva rappresentativa e di qualità, dare delega precisa per la determinazione dei salari minimi in modo tale da differenziare i lavori, spingendo quindi su contratti di qualità. Occorre aggiungere poi che la remunerazione, non si limita oramai solamente alla retribuzione, ma esistono anche tanti altri componenti che formano il concetto di total reward. Nella contrattazione collettiva la retribuzione minima è solo un piccolo aspetto che si aggiunge a tutte le altre misure minime previste (welfare contrattuale, remunerazione straordinari, previdenza complementare, enti bilaterali, assistenza sanitaria integrativa). Lavoriamo sulla certezza della rappresentatività dei contratti collettivi e sul punire l’utilizzo di contratti collettivi “pirata” sfruttati per il dumping sociale”.